Esselunga, la pesca della discordia

Cioè dai ragazzi seriamente?! Non mi posso assentare un paio di settimane che mi fate questo?! Neanche il tempo di fare un viaggio in Giordania (bellissimo, la consiglio, ma state attenti ai dromedari, la loro testa è davvero dura, specie se la prendete a testate come ha fatto il sottoscritto…) che in Italia si scatena il putiferio! E il tutto da che nasce? Da un tentato colpo di stato? dai salari che sono al collasso? dalle pensioni a 70 anni? dal debito pubblico che viaggia sul 140% del PIL e che strozzerà la nostra crescita per i prossimi decenni a venire? da attentati? da un allarme nucleare? dalla crisi alimentare? dalla guerra? dalla benzina a 2 euro al litro? dai migranti? dalla crisi energetica? dal Covid? dal salario minimo? dal derby Roma Lazio? dai balneari che rischiano di non avere più ombrelloni da piantare per far crescere soldi? dalla reversibilità di un recente illustre defunto? dagli alieni? tassa sul caffé?

Ma no signori! Ovviamente si scatena da….una pubblicità!!!

Inizio subito col dire la mia. Questa pubblicità è bellissima! O meglio, a me piace tantissimo! Fatta davvero bene, con attori che interpretano magnificamente la loro parte, e soprattutto, uno spot con una trama! Roba da fantascienza ai giorni nostri, dove gli spot non fanno altro che sbattere in faccia allo spettatore il loro prodotto con l’imperativo categorico ormai neanche più velatamente nascosto di comprare senza una giustificazione e senza neanche tentare di edulcorare la cruda e squallida esigenza delle multinazionali di vendere. Ti sbattono in faccia il prodotto e ti urlano “Compra!”. Almeno prima provavano a motivare, ad invogliarti, magari anche buttandola sullo scherzo, sull’ironico o perché no, sul melanconico, come in questo caso.

Qui si vuole non tanto vendere un prodotto quanto piuttosto invogliare a rivolgersi ad una catena di supermercati, dunque vendere un luogo dove scegliere cosa comprare. Un meta-prodotto se vogliamo. Giusto o sbagliato che sia, che rispetti o meno le preferenze dell’utente, tutti dobbiamo fare la spesa, tutti mangiamo, a tutti serve la carta igienica.

Ma allora, vi direte voi, se questo spot mi piace, perché ne sto scrivendo?

Ebbene, se vivete in Italia, il più magico dei paesi, vi sarete accorti di quanta risonanza abbia avuto. E sapete perché? Perché…sì, sono riusciti a strumentalizzare e politicizzare uno spot che ruota sul gesto bellissimo e plausibile di una tenera bambina che potrebbe essere la figlia che abbiamo, o del bambino/bambina che siamo stati, nel nobile e dolce tentativo di riappacificare i genitori.

Qualche parruccone ha pensato bene di vederci una chiave di lettura sociale, una critica ad una certa impostazione di famiglia, una strumentalizzazione di una bambina e dell’infanzia in generale ai fini di vendita e chissà cos’altro.

In particolare, alcuni “intellettuali” criticano questo spot che vorrebbe avallare un’idea di famiglia tradizionale, ossia esclusivamente eterosessuale e convivente. Non contenti, criticano che suddetta famiglia sia rappresentata in una fase poco felice e consona alla quotidianità auspicabile per ogni famiglia, ossia una separazione-divorzio (ma come, non erano anti tradizionalisti? ora vogliono la famiglia del Mulino Bianco?). Ancora meno contenti, crocifiggono l’atto della bambina di usare un ramoscello di ulivo simbolico, la pesca, appunto (ma come, non erano anti tradizionalisti? ora vogliono il pomo della discordia?). Infine, sempre più incattiviti, vedono la pubblicità come un potenziale innesco di cattivi ricordi e pensieri nella mente di potenziali bambini che si trovino ad affrontare nella vita reale una situazione familiare complessa e che casualmente si imbattano in questo spot. Come se tali sfortunati bambini avessero salame sugli occhi e cera nelle orecchie e solo questo spot li gettasse nella consapevolezza della difficoltà della quotidianità in cui vivono. Li prenderanno per cerebrolesi?

Non avrei mai creduto che si dovesse difendere uno spot da simili retrologie. Probabilmente neanche la nostra Presidente del Consiglio lo avrebbe mai creduto. E invece si è trovata a commentarlo, scommetto quasi con meraviglia e perplessità, immagino più che altro per sedare opposte correnti “politiche” che di meglio non hanno da fare che commentare cosa passa la televisione e sollevare polveroni sterili e ridicoli mettendo vigliaccamente in bocca a ipotetici spettatori feriti da tale spot la loro malizia, malafede e noia.

Come se in Italia ormai fosse un delitto esporre una tipologia di famiglia solo perché etichettata come “tradizionale”.
Come se in Italia fosse un delitto esporre un aspetto fisiologico non felice ma pur sempre reale, purtroppo possibile e sempre più attuale della vita di una famiglia.
Come se chi ha vissuto e superato tali momenti dovesse essere per forza colpito negativamente dal gesto della bambina, senza invece considerare la possibilità di vedere solo il gesto bellissimo ed innocente di una persona, gesto che potrebbe suscitare sensazioni positive e, perché no, magari tentativi di tenera emulazione.

A nulla valgono le dichiarazioni dell’ideatore dello spot, Luca Lorenzini, che aveva intenzioni semantiche molto più prosaiche e banali. Niente. Si è dovuto mettere al banco, i professoroni son dovuti salire in cattedra a dirgli cosa LUI aveva voluto dire con il suo spot.

Che poi mi dico, se anche avesse avuto intenzioni sovversive nei confronti dell’anti-tradizionalismo, non sarebbe suo sacrosanto diritto esprimersi in conformità alla libertà di espressione sancito dalla nostra Costituzione? I professoroni che sulla carta sono tanto garantisti come giustificano questo loro atteggiamento poco democratico? Come mai sono sempre loro a fare rumore? Come mai le parti politiche e opinioniste opposte non scalpitano quando in televisione vengono rappresentate famiglie omosessuali e/o eterocolorate sempre più surrettiziamente imposte negli e dagli spot pubblicitari?

Con tutti i problemi che abbiamo nel nostro Paese, ci si dovrebbe dedicare a pensieri molto più pragmatici, invece di portare avanti una causa puramente speculativa e strumentale. Queste persone con loro battaglie ridicole chi rappresentano? e da chi sono rappresentate? Personalmente non conosco nessuno che si sia sentito offeso da questa pubblicità. Leggete poi i commenti al video, tutti positivi e di elogio. Dunque loro a che titolo scatenano polemiche? Quale minoranza – se esiste tale minoranza – stanno imponendo a suon di urla scandalizzate?

Scommetto che un anno fa gongolavano se chiamare la MeloniIL” o “LAPresidente del Consiglio, gli stessi giorni in cui lei invece saliva al Governo.

Il mondo è fatto da chi fa. Chi fa il mondo fa la realtà. E poi c’è chi blatera…

Quindi scrivo questo post per dire a chi attacca questo spot con le motivazioni distorte ed improbabili che ho letto in rete: “Voi non state bene“.

In ogni caso un grande applauso ad Esselunga e a Luca Lorenzini.
Che piaccia o no questo spot, loro hanno fatto centro.

Esselunga la sa lunga…

Una cosa è ormai certa. Siamo in una società in cui non siamo più liberi neanche di non pensare, una società anni luce lontana da quella innocente e ingenua di solo qualche lustro fa, una società che non sa più sorridere.

E a me viene un dubbio. E se fosse stata una banana che succedeva?

Forse sarebbero stati tutti più contenti?

Del resto tutti sanno che l’uuuunico frutto dell’amor

Spot ideale? Idealista!

Questa sì che è una pubblicità! Finalmente musica per le mie orecchie! niente sanguinamento di occhi né emicranie incandescenti!!

Lo so lo so, avevo detto che facevo post su roba da urlo di orrore. Ma concedetemi una tregua e fatemi fare un elogio a questo! Spot da urlo, ma di piacere!! Qualcosa con un senso compiuto, fatto bene e con attori semplicemente perfetti, seppur in una parte così ridotta. Senza contare che poi non sono neanche attori, almeno due dei tre coinvolti. E che ce lo facciamo scappare? Dai su!

Spot intelligente, riprende la consuetudine (tutta italiana, o forse no?) di non farsi vedere mai entusiasti durante la visita di un immobile in vendita. Perché? Perché l’agente immobiliare registrerà l’entusiasmo e lo comunicherà al venditore. Entrambi chiuderanno qualsiasi spazio di manovra ad una eventuale trattativa sul prezzo, usando le reazioni positive dell’acquirente come arma contro il suo naturale istinto di spendere il meno possibile.

E non è certo solo un interesse del venditore incidere il meno possibile il prezzo! Sappiamo benissimo che più si scende meno sarà cospicua la parte dell’agenzia immobiliare. Quando un agente fa finta di stare dalla parte dell’acquirente mente per definizione. E se fa spallucce dicendo che qualsiasi decisione è solo del venditore, mente comunque. Il venditore viene influenzato attivamente e passivamente dall’agente, che è suo procuratore, compare e spia.

Per cui credetegli quando dice che “ambasciatore non porta pena“..porta altro, con una vocale finale diversa. E ognuno deve portare anche il pane a casa, o l’acqua al proprio mulino. Se poi l’agente immobiliare abita in un mulino…state freschi!

Il fatto che tali considerazioni sul mercato immobiliare siano suscitate da uno spot ideato da un’agenzia immobiliare denota quanta autoironia, autoconsapevolezza, intelligenza e furbizia siano sapientemente dosate in questa produzione così gustosa.

Pregevole è il primo piano in carrellata della ragazza (Camilla Pistorello, pattinatrice su ghiaccio) che fa venire le vertigini, simulando quelle che lei ha provato poco prima di svenire.

Anche la sequenza tra un piano e l’altro è coerente, fluida, sono ripresi i movimenti e le pose tra i vari cambi di inquadratura, dando un effetto di continuità assolutamente non scontata né banale.

La faccia dell’uomo quando vede il terrazzo è semplicemente perfetta, un misto tra meraviglia incredulità e “Oh cazzo ho fatto sei al superenalotto!“. L’unica cosa forse da rimproverargli (?) è che guarda in alto…svenire per la vista di un terrazzo presuppone che si stia guardando il terrazzo, per l’appunto, o al massimo il panorama che si vede dal terrazzo. Insomma, presuppone uno sguardo orizzontale, non verticale. Ha visto un terrazzo o la Madonna? Però, davvero, è un dettaglio minimo, un difetto perdonabilissimo (ho usato un punto interrogativo proprio per questo) che non invalida in alcun modo la qualità del prodotto.

Dopo un breve stacco sul logo di Idealista, si torna all’ultima scena dei due ora adagiati sul letto (complimenti all’agente immobiliare per il notevole sforzo fisico…un corpo a peso morto è davvero molto pesante e difficile da sollevare).

Piccolo dettaglio erotico sapientemente dosato, le gambe della ragazza ora completamente scoperte, un pizzico di pepe che aggiunge alla pubblicità una nota stuzzicante per il palato maschile e non solo (vedere i commenti al video e all’Instagram della ragazza per rendersene conto – c’è un mondo dietro di cui essere davvero sorpresi).

Bravissimo l’agente immobiliare a simulare con una mimica scarna, all’ennesimo svenimento di lei, un misto di “E te pareva!“, “E che coglioni!” “N’altra volta?“, “EBBASTA!” e “Te vorrei ammazza’ ma devo lavora’!”.

Tocco di classe assoluto: l’uso sapiente della lingua italiana per creare uno slogan sartoriale e perfetto sia per adattamento dinamico alla trama dello spot, sia per il gioco sintattico e semantico, semplice ma efficace e simpatico: “sVieni a vederla!“, che con un’unica parola inventata convoglia sia l’invito a rivolgersi all’agenzia (scopo pubblicitario puro) sia la qualità del lavoro dell’agenzia stessa, talmente buono da svenire (scopo promozionale ed elogiativo).

Agenzia pubblicitaria Gibbo&Lori promossa a pienissimi voti.

Babbel…ma siete BabbeI?

La vedete la differenza tra le due parole? No? Ve la dico io!

Una finisce con la elle minuscola, l’altra con la i maiuscola.

Spot molto simpatico e colorato. Però mi lascia un po’ perplesso.

Marco (baffi rigorosamente alla Pancho Villa) ha appena ordinato senza problemi un polpo alla brace, parlando uno spagnolo (stereotipi scansateve proprio!) molto buono e mostra di padroneggiare la lingua, grazie a Babbel (elle minuscola).

L’oste (baffi rigorosamente alla Pancho Villa ma al quadrato) mostra però una faccia meravigliata e perplessa, ma poi fa spallucce, il cliente ha sempre ragione. Il perché lo scopriamo tra poco.

La voce fuori campo ci rivela che Marco ha avuto la sua prima conversazione in spagnolo. Ma se è la prima, come cazzo ha fatto a portare al locale Lucia per cui ha appena fatto l’ordinazione?

Eh sì, l’ordinazione è per lei, perché sempre la voce fuori campo ci svela che lei è vegana (ecco dunque il perché della faccia perplessa dell’oste, che evidentemente già sapeva – ma come? Lucia è una sua ex? una cliente fissa? entrambi?).

Dunque Marco dovrà scusarsi in spagnolo con lei per aver toppato l’ordinazione. La voce fuori campo ci rivela dunque che si conoscono, dato che è per lei che lui ha ordinato.

Si presume dunque che abbiano già parlato in precedenza, a meno che non abbiano comunicato con segnali di fumo, o che un pazzo se ne vada in giro a rimorchiare perfette sconosciute offrendo polpi alla griglia senza neanche averle rivolto mezza parola prima – ma se anche così fosse, le perfette sconosciute non farebbero neanche doppio OK felici e soddisfatte ad ordinazione completata.

La conclusione logica è che Marco NON ha avuto la sua prima conversazione in spagnolo, ergo, la voce fuori campo ha detto una cazzata!

La domanda successiva è: di cosa cazzo avranno parlato Marco e Lucia prima che lui andasse ad ordinare? Quanto avrà capito Marco di quello che si son detti da 0 a 0? E Lucia che figura da imbecille ci fa che non si è accorta di avere davanti a sé uno che non capiva una turbominchia? Immaginate che conversazione realistica possano aver avuto?

Voi potreste obiettare: “Magari non è uscito il discorso!”, “Magari lei si è dimenticata di avvertirlo che è vegana!”, peggio ancora, “Magari sono entrambi italiani in viaggio in Spagna”, “Magari lei l’ha fatto apposta!”. In un contesto simile, se due già si conoscono do per scontato che un dettaglio così importante debba già essere noto. Se sono entrambi italiani, non c’è barriera linguistica che tenga. Se sono agli inizi di una conoscenza mi sembra difficile che lei si dimentichi di avvertirlo di suddetto dettaglio, specie se lui si è proposto di andare ad ordinare per lei. L’ipotesi del dolo è quanto mai sinistra.

Per carità, è una pubblicità simpatica ed ironica per sponsorizzare il prodotto, quindi al di là di tutto…”stica**i“, anche perché visivamente lo spot è molto bello e fresco, non facciamo troppo i pesantoni.

Però suvvia ragazzi (mi rivolgo agli ideatori dello spot)! Se un equivoco è il frutto dell’uso di questa app, Babbel (elle minuscola) non ci fa certo una bella figura. E con delle incongruenze nella trama così macroscopiche e goffe pur nella sua brevità e semplicità voi fate una figura da BabbeI (i maiuscola), assieme a Marco, Lucia e voce fuori campo.

Hi Barbie! Hi Ken!

In un mondo parallelo una donna sta affrontando una crisi esistenziale, complice, oltre ad i suoi guai personali, la figlia che da brava adolescente è in quella fase della vita in cui chiunque la vorrebbe spegnere senza neanche troppi scrupoli immergendola fino ai brufoli in un catino di fumante sterco di vacca. La madre, riordinando paccottiglia in casa, ritrova una vecchia Barbie della simpaticissima figlia, ed i suoi pensieri, emozioni e sentimenti negativi si trasmettono alla bambola, neanche fosse la melma di Ghostbusters 2.

Frattanto, in un altro Stato di questo mondo parallelo, Stato il cui nome è – guarda un po’ – Barbieland, l’avatar umana di questa bambola di plastica – la bella Margot Robbie – è intenta a vivere una stimolante e frizzante esistenza fatta di feste, ozio, futilità assortite miste ad autocompiacimento e narcisismo, il tutto condito di tanta, tanta tanta musica melensa e danza da recita di quinta elementare, sì quelle robe imbarazzanti che avete fatto – non fate finta di niente, so tutto! La sua routine zuccherata viene all’improvviso avvelenata dai pensieri negativi che via connessione in fibra le vengono trasmessi dalla bambola di cui sopra. I semi del male iniziano a diventare fiori del male, si incancreniscono sempre più insistentemente, la bella Barbie inizia a pensare a strane combinazioni di panini con carogne, divertenti nuotate in piscine piene di squali, capriole tra cumulonembi in tempesta, abbronzature da ustioni termonucleari e stimolanti sfinteri espellenti morte pressofusa. La sua festosa, banale, ripetitiva e rosea quotidianità pullulata di altre sue consimili (gli avatar delle circa 200 versioni della famosa bambola con altrettanti Ken al seguito) subìsce un irreparabile strappo.

Che strano dico io…possibile che di tutte queste nessuna era in mano ad una ragazzina in Ucraina o in Palestina? Mistero..

Irreparabile strappo dicevo…a meno che…

A meno che, ormai diventata una brutta copia di Mercoledì Addams, la povera malcapitata protagonista non varchi i confini del suo Stato per andare negli USA. Scopo del viaggio: fare la strizzacervelli, sperando di risolvere i problemi esistenziali della padrona del suo avatar di plastica – la donna che gioca con bambola sua doppelgänger – e di conseguenza spazzare via questi nuvoloni di marroni pensieri dal suo cervello rosa, così che possa tornare a fare la fenicottera.

In questo viaggio verrà accompagnata suo malgrado dal suo fedele e friendzonato Ken (ma senza visto di ingresso come avranno fatto alla frontiera con gli USA? forse Barbieland è il Vaticano degli USA? o forse è lo Stato numero cinquantuno e tre quarti?).

In onore del più classico dei cliché sul tema del viaggio, entrambi subiranno evoluzioni, gli Stati Uniti d’America modificheranno i loro cuori e anime, tutto cambierà, per Barbie radicalmente, per Ken…beh non Kenabbastanza

Trattasi, per chi dovesse avere ancora dei dubbi, di Barbie! Un meta-film che parla di sé stesso e della realtà che l’ha generato, rompendo la quarta parete più volte, infilando nel minestrone una quantità spropositata di ingredienti, temi enormi appena sbocconcellati che risultano dunque confusi per un risultato finale che assaggiato ti fa dire: “Sugo di merluzzo e salsicce“. Audace, a tratti intelligente, godibile…ma tutto questo finché non si scava un po’ più a fondo, e diventa come uno sputo nel pianeta Arrakis…della serie “Sì ok l’apprezzo ma che schifo lo stesso!”.

Evito di fare analisi semantiche-semiotiche-fisiche-astrofisiche del film, ce ne sono già a bizzeffe in rete, alcune talmente astruse che riescono a mettere figurativamente in bocca alla regista sempre più nuovi significati, un po’ come se Greta avesse lanciato una pallina di neve lungo un pendio e ora vede con orrore che la pallina diventata un masso rotolante di ghiaccio e significati raccolti qua e là, compattati di convinzione, stanno andando a rovinare da qualche parte inarrestabili. Purché se ne parli.

Nota bene: ho scritto mondo parallelo perché nononstante il film cerchi di ambientarsi nel nostro, il mondo del film con i suoi abitanti umani accetta senza batter ciglio l’esistenza di uno Stato come Barbieland in cui la fisica non risponde alle leggi a cui noi oltre la quarta parete siamo abituati a sottostare. Una completa identificazione dei mondi non deve presupporre la sospensione dell’incredulità a mio avviso. Ma questo è un dettaglio di poco conto.

Nota benissimo: ho scritto Stato appositamente, perché è un vero e proprio Stato, dotato di confini nazionali che chiunque può varcare liberamente, seppur seguendo un tragitto poco ortodosso e volutamente iperbolico, una popolazione fatta di Barbie (tutte intelligenti) e Ken (tutti fregnoni imbecilli), una Costituzione ed un suo sistema sociale speculare a quello del mondo reale, un matriarcato, anche se di madri non ce n’è neanche l’ombra. Per cui chiamiamolo stato femminista, non facciamo torto a nessuno. L’uomo-Ken conta come un due di picche in un torneo di bocce in salita, subisce questa quotidianità Barbiecentrica elemosinando l’attenzione della sua amata, perché sì, Ken la ama, ma Barbie se ne frega, perché è troppo impegnata a tirare avanti il paese dei balocchi e farsi i cazzi propri per perdere tempo con uno che neanche saprebbe cosa farci se dovesse trovarsela a letto. Questo perché Barbie e Ken non hanno genitali, così come le loro controparti di plastica. Tenete a mente questo dettaglio, servirà dopo.

I più arguti vedono già una parodia-satira del mondo in cui viviamo, dipinto a contrario come maschilista, sessista, in cui le donne sono relegate ad angeli del focolare, non contano assolutamente nulla, né in famiglia né in società e sono tutte idiote. Marie Curie? Rita Levi Montalcini? Margherita Hack? Samantha Cristoforetti? Madre Teresa? Maria Montessori? Marilyn Monroe? Madonna? le nostre madri? Ma figurati, tutte cretine che non contano nulla, robetta di poca importanza. Il mondo è fatto solo di uomini!

Beninteso, non sto asserendo che non ci sia una disparità nel nostro mondo attuale. Ma un conto è ammettere – pur notando l’innegabile trend positivo di incremento delle quote rosa nella storia umana – che c’è ancora da fare per livellare le disparità tra i sessi, un conto è presentare una parodia grottesca in cui l’uomo non conta assolutamente nulla e che di conseguenza vuole suggerire che sulla Terra la donna non conta nulla. L’intento della regista è di definire per contrappunto il nostro Occidente, attribuendo al nostro patriarcato le storture speculari del suo matriarcato. E francamente non mi sembra che nella nostra quotidianità le donne non contino nulla, anzi! Questo film non fa altro che mortificare i loro importanti traguardi raggiunti ed il loro valore, in nome di un messaggio sociale che distorce i traguardi da raggiungere che troppo superficialmente vengono etichettati comodamente e sbrigativamente come “parità dei sessi“. Anche un po’ paraculamente, se mi è concesso.

E perché lo fa? Come risposta mi do una metafora: un tipo in un buffet che ruba di nascosto cibo mentre ne mangia altro. Sembra discreto, in realtà è un poveraccio che mangia più degli altri.

Si nascondono in tasca i progressi sociali finora raggiunti per pretenderne altri perché ci si mostra a mani vuote. Di questo passo si va oltre il punto di equilibrio sperato, si sfora in un nuovo squilibrio dall’altra parte, in nome di un equlibrio di forma. La soluzione ad un’ingiustizia non è un’ingiustizia nuova, purché uguale e contraria.

Sentite la puzza? quella puzza che sentite ma non riuscite a capire bene di cosa è? Vorrebbe essere di denuncia sociale, ma in realtà è puzza di furbata infingarda, di accattonaggio, propinati in maniera artatamente confusa ad un vastissimo pubblico.

Propaganda? indottrinamento?

Alla fine del film il tutto si risolve con un ritorno al matriarcato, perché è ritenuto essere la base più giusta per una società equa (ma guarda un po’!!!). E la parità per cui tanto la regista e chi per/lei si prodigano e mobilitano?

Allora ecco il colpo di genio!

Per evitare un ritorno al punto di partenza e contraddire il messaggio sociale da slogan, le Barbie, avendo capito che un matriarcato forte come quello in auge all’inizio della trama non è davvero più accettabile, ormai avendo preso coscienza nella loro intelligenza e magnanimità degli effetti nefasti di tale sistema sul povero uomo-Ken, talmente esasperato dal nichilismo in cui consuma la sua inutile quotidianità da aver tentato addirittura un ġòlpe per emendare la Costituzione di Barbieland ed instaurare un regime patriarcale ad immagine e somiglianza di quello in uso nella civile società Occidentale per l’unico scopo di farsi dare un bacino sulla guancia, decidono comunque di lasciare la forma di Governo matriarcale, ma al contempo di edulcorarla con minime concessioni di autodeterminazione politica ai Ken, condite con una buffetto sul muso dei poveri bamboli invitandoli amorevolmente a trovare da soli il proprio valore. Perché nel nostro mondo l’uomo maschilista e sessista ha paternalisticamente riconosciuto che le cose vanno cambiate, e dunque ha magnanimanete iniziato a concedere piccoli contentini alle donne…Ursula Von der Leyen? Giorgia Meloni? Nilde Iotti? Margaret Thatcher? La Regina Elisabetta? Angela Merkel? Elisabetta Belloni? La Regina Cleopatra? Senna Marin? Condoleezza Rice? Kamala Harris? Contentini!

Perché Ken, che è un parallelo della femmina del nostro mondo, tutti i Ken-donna devono imparare ad essere sé stessi/e e ad apprezzare il proprio valore intrinseco, che prescinde dall’essere la costola staccata di una Barbie, che è un parallelo del mashio del nostro mondo. Perché i Ken-donna devono bastare a sé stessi.

Perché Ken è abbastanza

“Io sono Kenabbastanza.” – (libera traduzione)

Non mi risulta che nel nostro mondo attuale le donne stiano elemosinando alcunché, specie ai piani alti…

Davvero nel mondo occidentale la donna è vista come un’inutile appendice dell’uomo? Così tanto si vuole sminuire il suo ruolo per propugnare un’idea così distorta del mondo reale in cui viviamo? Non nego che ci siano discriminazioni, ma non sono la regola grazie a Dio, non a livello sistemico come viene surrettiziamente suggerito nel film. Ci sono ovviamente le dovute e tristi eccezioni, ma di certo non sono la regola che questo film vuole far credere, così come nella vita reale gli uomini non sono tutti intelligenti e le donne idiote – e viceversa – come invece è imposto nel film come lettura dell’attualità sociale.

Bene, dopo questa BREVE carrellata, vorrei giusto esprimere la mia perplessità sulla citazione del film 2001 Odissea nello spazio di Kubrick (che no, non è quello del cubo! Possibile che ci sia ancora gente che di un cubo non capisca un tubo?).

La citazione in sé è divertente, ma lascia una sensazione indefinita, finché non viene spiegata dalla voce fuori campo, che mi trasforma la sensazione in una domanda…”ma non sarà un po’ fuori luogo?“. Il parallelismo è evidente. Ma è troppo forzato. Il monolite nero di Kubrick ha reso l’animale scimmiesco del film il progenitore dell’uomo. Una rivoluzione che ha del miracoloso e che ha segnato la nascita del genere umano! E la Barbie perché dovrebbe essere paragonabile ad un evento simile?

Al di là della citazione, mi sembra davvero un’esagerazione. E la sensazione aumenta quando nel corso del film si affronta l’effetto rivoluzionario e talvolta nefasto che l’avvento delle Barbie ha avuto non tanto sul mercato (unica vera rivoluzione, ma di altra specie) ma sulla psicologia delle bambine.
Nella fattispecie, ci si concentra sugli effetti di inadeguatezza che una ragazzina possa aver nutrito nei confronti di un modello di perfezione propugnato dalla biondina plasticosa, effetti che si sarebbero ripercossi poi nell’adolescenza con crisi di psicosi, nevrosi, isteria, gravidanze indesiderate e gli immancabili atteggiamenti da bulla anticonformista radical chic intellettualoide rivoluzionaria.

Dio quanto è conformista essere anticonformisti!

Quindi, per voi che vedete il film, state attenti alle donne che in adolescenza hanno giocato con le Barbie, sono potenziali disagiate reiette sociopatiche represse.

Cazzo, e io che pensavo che con le bambole e pupazzi ci si giocasse!

Davvero un pezzo di plastica che rapresenta una donna bionda, ritenuta modello di donna perfetta (ma da chi poi?? perfetta secondo quale canone? come si fa ad accettare o contestare un modello di perfezione se non esiste neanche il modello stesso?) stereotipata fino al midollo è riuscita a seminare nelle povere bambine un seme di inadeguatezza che nel corso della vita è germogliato in frustrazione per non essere riuscite ad emulare la loro bambola?

Ricordate quando prima vi ho detto di tenere a mente che nel film gli avatar umani di Barbie e Ken non hanno genitali? ECCO!! Il film stesso ci ricorda che questi pezzi di plastica non sono corpo da sessualizzare!! Mentre invece il disagio denunciato nel film presuppone una sessualizzazione della bambola! Sessualizzazione che tra l’altro fatico a credere possa avvenire in un’età in cui il giocattolo è un semplice catalizzatore e paracadute in quel viaggio/distacco dalla figura protettiva dei genitori all’embrionale cuscino instabile di una personalità indipendente in divenire. Si inventano storie con i giocattoli, le bambole sono personaggi, non corpi. E se anche si vedessero corpi sessualmente desiderabili in quei pezzi di plastica in tenera età, sarebbe frutto di un inconscio incontrollabile tanto quanto le pulsioni sessuali verso i propri genitori. Non accusiamo i nostri genitori di indurre pensieri nascosti nelle nostre giovani menti, perché dunque lo si fa per un pezzo di materia inerte creata ad arte? Se fosse un effetto reale ed universale, la sua commercializzazione sarebbe un danno doloso alla psiche delle infanti. La Mattel si sta auto-denunciando? Oppure forse è un’esagerazione da usare come trovata pubblicitaria su cui imbastire un messaggio falso quanto un sepolcro imbiancato?
Tra l’altro non vedo perché accusare di tal potere distorcente esclusivamente il marchio Barbie, tacendo il ruolo delle principesse Disney (per me, ad esempio, MOLTO più sessualizzate ed erotiche), le altre bambole dalle fattezze innaturali, i languidi personaggi di alcuni cartoni animati tranquillamente dati in pasto agli occhi di milioni di bambini da decenni, i manichini dei negozi di abbigliamento che fanno venire complessi di inferiorità a chiunque…a meno che non si voglia fare di questa bambola un capro espiatorio e usarlo come scusa per un prodotto da vendere agli affamati di critica miope della realtà. Cosa ci sarà tra poco? Un film sulle Polly Pocket? Io ora scusate un attimo, mi assento, vado a denunciare i manichini perché mi fanno venire i complessi!

Ma non sarà che si sta cercando a tutti i costi di fare retrologie da bar su atti spontanei, sovraccaricando di oscuri significati atti innocenti di in un’età innocente?

Cazzarola, e io povero semplice e primitivo essere scimmiesco che giocavo con pupazzi (tanto per citarne alcuni, i Winspector, gli Sbullonati, i Cavalieri dello Zodiaco) e non sono diventato poliziotto, samurai e crash-tester, cosa dovrei fare?

Eppure mi ricordo quando provavo a lanciare i Fulmini di Pegasus contro mio fratello neonato! Dov’è la mia armatura d’oro??

Insomma, ironia a parte, credo che la vita, crescendo, ci insegni che non tutto è possibile, che i piani vadano rimodulati a seconda degli inevitabili imprevisti e sorprese che il percorso ci riserva quotidianamente, assecondando le nostre reali capacità che impariamo a conoscere e scoprire nel loro progressivo divenire vivendo empiricamente la nostra esistenza. Cresciamo, ci evolviamo…solo la plastica resta uguale a sé stessa, ed è infatti una delle principali cause di inquiamento del nostro globo terracqueo.

La capacità di adattarsi fa parte del nostro DNA, e dobbiamo maturare l’umiltà di riconoscere i nostri limiti, specie quando non siamo all’altezza di aspettative indotte da fattori esterni e avulsi dalla realtà e dalle nostre reali potenzialità in divenire.

Davvero dunque le bambine son cresciute male per una bambola? è bastato così poco per rovinare le loro menti? Se fosse così, mi sento di dire che forse il problema non era poi la bambola.

Ma sospendiamo un attimo l’increduliltà e supponiamo sia davvero così.

Se bastasse davvero un pezzo di plastica umanoide a rovinare la psiche di una ragazzina, come sostiene la Mattel nel proprio film – e sottolineo, nel PROPRIO film – perché invece di fermare questo mattatoio psicologico interrompendo la produzione di bambole continua a produrne e venderne in tutto il mondo continuando ad alimentare questo genocidio consumistico di cui dimostra di essere consapevole?

Ah come dite? il film è una gigantesca trovata per far cassa e coprire debiti e perdite inflitte dalla concorrenza di mercato degli ultimi decenni in cui la Mattel ha visto erodere progressivamente il proprio patrimonio e monopolio ludico? Il film di auto-denuncia è un’operazione commerciale perché la Mattel possa far milioni e proseguire indefessa l’attività auto-denunciata?

Hai capito la Mattel! Lei indefessa, noi fessi!

Questa sì che è una faccia da vero Culo di Rubik!! Ah…scusate era tubo! NO! Era cubo!

Ci manca solo che chi mi dice che fumare sigarette fa male mi dia ora una sigaretta elettronica per farmi smetter….ehm…

Chiudo questo BREVE intervento sobrio sul contesto di totale sincerità e coerenza in cui sguazza il film con un complimento con l’unica citazione sapientemente costruita, quella al capolavoro Matrix.

Per il resto, sicuramente è un film che offre alcuni spunti di riflessione, ma convoglia delle conclusioni e dei messaggi in maniera per nulla sottile, totalmente sgarbata e sgraziata, scimmiottando tematiche profonde mascherando con denuncia sociale l’unico vero messaggio che vuole convogliare al pubblico: “Datece i soldi!”.

Interessante infine lo sdoganamento totale del fetish del piede femminile. Le estremità inferiori di Margot Robbie avranno fatto sognare migliaia di utenti, cosa di cui lei non solo è perfettamente consapevole, ma anche sapientemente compiaciuta (Quentin Tarantino sarà stato felicissimo).

Ultime considerazioni sugli attori, davvero dei professionisti fenomenali, belli e bravi, soprattutto Gosling, attore PAUROSO che qui ha regalato una performance ECCEZIONALE, un bellissimo uomo, il cui Ken è il vero motore propulsivo della trama di questo film, anche se poi la Mattel-ex-machina lo ha comunque rimesso al suo posto, all’ombra della bionda, nonostante le belle parole sull’autodeterminazione ed autostima.

Infine una nomination al miglior “Non c’entro un cazzo ma ci sto bene lo stesso” del cast, un John Cena in versione Sirenetto, così inguardabile che devo ammetterlo, quando l’ho visto ho sputato un polmone

 “I beat John Cena, and he went back to Hollywood and became a mermaid.” – Austin Theory.

Spero che la “recensione” vi sia piaciuta tanto. O almeno Kenabbastanza…

Alla prossima!

De Cecco ed il suo modestissimo piatto di pasta

Si sparge per la Capitale un profumo di pasta…i destini di alcune persone stanno per incrociarsi in un connubio di musica, bellezza, eleganza e gusto…mi sta già salendo un prurito bestiale alle nocche…

Una Gerini che rimane bellissima (io personalmente me ne innamorai neanche troppo platonicamente ai tempi di Viaggi di Nozze del 1995) qui riescono a trasformarla in una creatura primitiva, svuotata di senso, insulsa e fastidiosa (per essere gentili).

Canta (devo dire piuttosto bene) sulle note di una famosa canzone cambiandone il testo originale con uno inventato appositamente per elogiare le qualità della pasta. E parlando di pasta, la vediamo cucinarla in una location modestissima, una normale casa di una qualsiasi persona/famiglia di estrazione media in Italia, con vista sul Cupolone (Cupola di San Pietro, Stato del Vaticano). A giudicare dall’angolazione da cui la cupola è osservabile dalla sobria colonnata, l’ambientazione dovrebbe essere sita in Trastevere, nota zona periferica estrema di Roma, dove è possibile acquistare un monolocale con piccolo mutuo, tasso variabile, comode rate di un rene al mese.

Tralasciando queste quisquilie…mentre la Gerini e le amiche si dilettano a cucinare un piatto di pasta, sempre a Trastevere ma in zona Castel Sant’Angelo si aggira un Can Yaman in monopattino. Non sappiamo cosa stia facendo in giro per Roma sotto al sole di mezzogiorno, fresco come una rosa nonostante sia risaputo che a Roma già a Maggio il sole allo zenith può cuocere una bistecca ai ferri. Vede un camion di De Cecco, e decide di prepararsel-eeehm-andare a scroccare un pranzo dalle nostre beniamine. E qui mi sorge una domanda: e se le nostre eroine avessero deciso di farsi piuttosto una caprese? o un’impepata di cozze? o una vellutata di cipolle?

Tra l’altro io sono della fazione anti-monopattini, ma non è questo il punto. Roma, specie in quella zona, è un caos di auto e passanti dove ciclisti, motorini, perfino pedoni hanno difficoltà a nuoversi. Per non parlare della pavimentazione a dir poco sconnessa in alcuni punti. Per cui è semplicemente irrealistico immaginare una persona in monopattino.

Ovviamente hanno sgombrato la location per girare lo spot. Quanta spontaneità…magari avranno anche buttato un po’ d’asfalto? Neanche ci fossero state le elezioni amministrative o il Giro d’Italia.

Per chi non lo sapesse questo spot è stato concepito come una serie. Vi sono episodi precedenti, sempre con gli stessi protagonisti, con ambientazioni altrettanto minimaliste (l’Hotel Eden di Roma, vicino a Piazza di Spagna, altro punto periferico della Capitale). In questo spot in particolare non si vede molto, ma nelle precedenti si nota una certa salivazione eccessiva delle protagoniste per Can, condita da atteggiamenti da teenager liceali in pieno sfogo ormonale che in un attimo fanno tornare l’immagine della donna, la cui dignità oggi è propugnata anche al costo di quella dell’uomo, ad una versione banale, idiota, gallinacea e vagamente (solo vagamente eh!) stereotipata.

Ovviamente tutte in tiro per l’arrivo del bellissimo Can. E finalmente si mangia tutti assieme questo piatto di spaghetti. Porzione “rigorosamente” ospedaliera, come si usa in tavola di una casa laqualunque…tocco di classe, la farfalla messa a mo’ di puntale su un nido di spaghetti impiattati alla perfezione, farfalla in omaggio al papillon di Can.

Scene di vita quotidiana, spontaneità profusa. E le nocche prudono incandescenti!

Qui va tutto bene, niente stride, tutto è “perfetto” (vedansi commenti al video incorporato)…perché? Ma semplice! Perché Can è bellissimo. Non sono ironico, è davvero un bell’uomo. I commenti allo spot parlano chiaro, è bellissimo, bravissimo, elegantissimo, le donne (sole) approvano e guai a contraddirle! Sono già tutte in cucina con gli occhi a cuore, persino le irriducibili femministe da tastiera.

Come? Ah non era uno spot di prodotti di bellezza maschile? era di pasta?

“Scusate, mi ero distratto!”

De Cecco 1 – Coerenza 0

Cosa? Ah la De Cecco è abruzzese e la location è in Lazio?

“Ci vediamo dall’altra parte”

De Cecco 2 – Coerenza 0

Sul serio? La canzone storpiata dalla Gerini è Vecchio Frak del compianto Modugno? cioè tra tutte le canzoni italiane a disposizione da storpiare per pubblicizzare la pasta hanno scelto proprio una che parla di un suicidio??

“Fate il vuoto in testa! Fate il vuoto, non pensate a niente, è la sola via di salvezza!”

De Cecco 3 – Coerenza scansate proprio…

Scusate, ero a farmi decalcificare le nocche

In mezzo a questo fiume di melma tuttavia un mezzo punticino alla povera coerenza glielo darei, dato che molti utenti hanno commentato che da quando gira questo spot hanno smesso di comprare questa marca di pasta, un suicidio almeno tentato dalla De Cecco, anche se questo obbrobrio di spot non l’ha fatta precipitare come il personaggio storico che ha ispirato la canzone di Modugno.

Ah, per la cronaca, il personaggio si suicidò gettandosi dalla finestra dell’Hotel Eden di Roma, location del già citato prequel di questo spot. Ma son sicuro che sia un caso, voglio sperarlo almeno.

La vittoria dunque spetta alla De Cecco, per lo spot più mal fatto della serie e uno dei peggiori a mia personale memoria, che quanto a decorticamento di nervi ed irritazione del sistema nervoso periferico se la batte con gli insulsi e martellanti spot con la Canalis, ma questa è un’altra storia per un’altra volta…

Alla faccia del gusto, tra le vittime accertate si annovera il buon gusto, oltre ad un numero imprecisato probabilmente dispari di maroni dispersi!

Aspettando il prossimo episodio di questa saga trash…vado a farmi un piatto di pasta.

De Cecco?

Col Ca…n!

Testamento solidale

Allora!!!
Prima di procedere mi preme avvertire il gentile lettore che il sottoscritto possiede una mente a volte (consapevolmente) contorta, maliziosa, a tratti disillusa. Per cui non si sorprenda di leggere quel che sto per scrivere, così come io non mi sorprendo se ciò che sto per scrivere non rispecchia l’opinione comune dello spettatore televisivo medio…

Fatta questa breve e forse superflua premessa…sto per scrivere qui lo sgomento che ho provato nel vedere questo SCHIFO di spot, che dovrebbe essere tra l’altro pubblicità progresso…

Lascio al lettore il piacere di poterlo visionare in tutto il suo marcio splendore…

Non so se chi legge, avendo assistito a questo obbrobbrio, provi lo stesso sgomento che ho provato io la prima volta che l’ho visto, anzi sentito…

Magari potrà sembrare un’innocua trovata pubblicitaria. Eppure io mi chiedo se chi ha ideato questo breve “spot” abbia un cuore, o almeno una minima sensibilità.

Premetto che non sono assolutamente contrario al concetto di donazione. Se il dante causa non versava in condizioni di bisogno, non vedo perché non possa destinare parte del suo patrimonio ad una causa comune, futura, ma comune.

Quel che mi lascia esterrefatto è l’impostazione.

“Cosa volevi fare da grande?”

Chiaramente è uno spot basato sul doppio senso della parola “grande”, che viene inteso come grande dal punto di vista anagrafico, ossia prossimo alla morte.

Suvvia! E’ ora di fare qualcosa da “grande”, ma questa volta inteso come grande persona.

Una trovata carina in fondo. La lingua italiana, le lingue in generale, sono meravigliose proprio perché permettono questo grado di ambiguità creativa.

Eppure…eppure…

IO che sono malizioso cosa ci leggo tra le righe? Premesso che credo (purtroppo) che cosa noi sognavamo di diventare o volevamo fare da grandi sono sogni che sono rimasti tali, nella maggior parte dei casi avendo sbattuto la faccia contro le difficoltà della vita e dei suoi progetti diversi per noi, conditi anche dalla nostra ingenua esperienza che ci portava a sognare cose diverse da quelle che potevamo permetterci.

Ebbene, cosa volevi fare da grande? Bravo! Non ci sei riuscito! Sei un fallito! Ma senti, dato che sei stato un fallito e non sei stato buono ad essere chi volevi e a fare quel che sognavi di fare quando eri giovane ed avevi tutta la vita davanti, ora che sei talmente vecchio da non avere tempo e da essere inutile per te stesso e per gli altri, fai una cosa, renditi utile!.

Come se solo quando è troppo tardi si potesse far qualcosa di buono per il prossimo. E come se aderire a questa campagna fosse un rimedio ai propri fallimenti.

Il tutto condito da una musica che potrebbe star bene in un action movie, dove c’è l’eroe di turno che compie qualche impresa inverosimile. E quale sarebbe in questo spot l’impresa inverosimile? spendere soldi? cosa significa? che la solidarietà è un’impresa da eroi e non da gente comune?

Definendo surrettiziamente un’azione tanto semplice come eroica e “da grandi” questa pubblicità “progresso” avalla l’idea che la società individualista e malfidata in cui viviamo sia un male normale.